Un anno fa Sandro Farina era un uomo sposato, benestante, con una vita regolare. Una notte fatale, trascinato dal fraterno amico congolese Joyce Lukwazy, fascinoso regista e videoartista dall’anima italiana, ha fatto una sciocchezza. E sua moglie ha scoperto ogni cosa. Oggi, nella primavera del 2004, Sandro si sta separando e si ritrova a dover vivere al risparmio, scegliendo di dividere con i camerunesi Richard e Modestin un grande appartamento nella provinciale Pavia. Il suo amico e fratello Joyce? Lui è scomparso in Africa, dove ha accompagnato la sorella, cresciuta e educata in Svizzera, a sottoporsi a magiche cure tradizionali, ultima risorsa per una misteriosa malattia che nessun medico, persino nella tecnologica Losanna, ha saputo nè diagnosticare nè tantomeno curare...
Richard, Modestin, Joyce sono laureati, hanno cultura elevata, lavori ben remunerati: sono l’immigrazione integrata, lontana dall’emergenza. Sono l’immigrazione normale, e per questo invisibile. Quella che non c’è in cronaca, e che nessun romanzo italiano ha finora raccontato. Ma anche verso quest’Africa che vive, studia, lavora, fa amicizia e s’innamora al fianco degli italiani, si scopre un razzismo diffuso, una rete di pregiudizi quotidiani e sotterranei, fatta di sguardi di traverso, diffidenza, maleducazione, mancanza di rispetto, nessuna fiducia, poca considerazione. Sandro, benchè ora recensisca ristoranti di lusso e lavori nell’effimero, ha un passato di sinistra. Sandro è stato nel volontariato. Sandro sente nel cuore che ogni italiano ha un debito, che ogni italiano sconta una specie di peccato originale commesso contro gli immigrati e contro quelli di pelle nera in particolare. Così, vivendo fianco a fianco con gli inquilini africani, riscopre una paternalistica solidarietà, che gli sembra quella eroica e battagliera della sua gioventù. Però... Però il contatto quotidiano, il confronto sul campo degli affetti e delle idee, conducono Sandro lungo un percorso di scoperta: gli immigrati africani non sono i protagonisti retti ed eroici di una rivoluzione sociale purificatrice. Non sono i nuovi Che Guevara per i quali si deve stendere il tappeto rosso dell’accoglienza e spendere ogni energia per correre in aiuto. Anche gli africani pensano male di noi. Anche gli africani hanno preconcetti e possono essere razzisti verso gli italiani. Per chi è fresco di migrazione, concetti come rispetto per le scelte sessuali, pari opportunità tra uomo e donna, o persino democrazia non sono valori positivi e scontati. E il sovrannaturale, la superstizione, la magia, hanno un ruolo fondante nella vita di tutti i giorni.
Gli africani in Italia sono persone come noi, ottime o più spesso pessime: come gli italiani. E sono persone che pensano cose diverse, su tutta la linea, da quelle che pensiamo noi. Sono persone che vanno conosciute davvero e cui dobbiamo spiegarci per quel che siamo realmente. Altrimenti non faremo che alimentare menzogne e ipocrisie, rischiando lo scontro. Trasformando la convivenza in un Inferno.