Un impiegato metà Pessoa e metà Kafka scrive un diario fatto di note a piè di pagina a commento di un testo fantasma. Con piglio accessibile e pacato e una raffinata stringatezza stilistica, tra ammicchi umoristici, citazioni complici e folgoranti interpretazioni di letture, va a caccia di "bartleby", esseri che ospitano dentro di sé una profonda negazione del mondo e prendono il nome dal famoso scrivano di Melville che preferiva non fare e non parlare. I bartleby finiscono per non scrivere nulla pur avendo tutto il talento necessario, oppure, se esordiscono, rinunciano presto alla scrittura (Rimbaud, Rulfo, Salinger), o ancora rimangono paralizzati per sempre. Non a caso un bartleby centrale è il triestino Bobi Bazlen, tratteggiato seguendo il romanzo di Del Giudice. Disseminando felicemente la propria personalità nell’infinito mare delle vicende altrui, il narratore supera l’impasse e conquista la salvezza. Il lettore, dal canto suo, immerso in un’irresistibile galleria di aneddoti, trame e frasi, da Walser a Celan, da Gide a Canetti, da Perec a Savinio, da Socrate a Traven, da Beckett a Maupassant, da Magris a Tabucchi, quasi non s’accorge di alcuni preziosi e curiosi personaggi inventati. Un grande libro ironico, ma anche incantato dal sortilegio della parola. Un emozionante breviario per gli innamorati della letteratura.