A 96 anni ci ha lasciato il politico e giornalista Emanuele Macaluso
A lungo nella direzione del Partito Comunista Italiano, fu membro della corrente dei riformisti, anche detti miglioristi, insieme a Giorgio Napolitano.
Quando Palmiro Togliatti rientra in Italia nel 1944, si trova di fronte a dei passaggi delicatissimi. La Resistenza e la Liberazione, poi l’Assemblea costituente e le prime elezioni repubblicane. Il Pci deve trovare una sua strada tra opposte possibilità che lo accompagneranno per decenni: imporsi come partito insurrezionalista e rovesciare il sistema; oppure lavorare dall’interno del sistema, conquistare i propri obiettivi passo dopo passo contro il massimalismo e affermare la propria appartenenza al tessuto istituzionale italiano per un transito graduale al socialismo. Emanuele Macaluso riflette sulle diverse anime del Pci di Togliatti, e per quella via sulla vocazione sfaccettata e contraddittoria della sinistra italiana. Rifiuta i luoghi comuni e le soluzioni preconfezionate, e intreccia nel suo racconto fili di colori diversissimi. La riflessione storica. La testimonianza di chi ha attraversato da protagonista quell’intera stagione. La drastica lucidità di chi guarda quelle vicende a cose fatte: dopo la caduta del Muro, dopo la dissoluzione del Pci e della sinistra italiana, dopo che un ex dirigente del partito è stato eletto per due volte alla più alta carica dello stato. La tesi di Macaluso è provocatoria. La cosiddetta “doppiezza” di Togliatti coincideva con un’attenta strategia politica, rimasta viva fino a Berlinguer. Dopo l’89 e la svolta della Bolognina, quella strategia fu rimossa insieme alla figura di Togliatti e di altri leader storici, lasciando la sinistra orfana di un progetto. Un’altra strada sarebbe stata possibile. Forse, un’altra strada è ancora possibile.
Emanuele Macaluso (1924) nel 1941 aderisce clandestinamente al Pci. Membro della corrente riformista (o, come diceva lui,“migliorista”), nel 1960 entrò nella Direzione del partito. Con Enrico Berlinguer fece parte della …
A lungo nella direzione del Partito Comunista Italiano, fu membro della corrente dei riformisti, anche detti miglioristi, insieme a Giorgio Napolitano.