È il maggio del 1977 quando in casa Negri irrompono i carabinieri a mitra spianati. La tredicenne Anna li guarda a lungo, rabbrividisce al contatto della canna fredda dell’arma con la sua pancia scoperta e poi scoppia a ridere.
Anna Negri, la figlia di Toni – come chiama il padre, Toni Negri, teorico e filosofo marxista, nonché fondatore di Potere operaio e leader di Autonomia operaia – è una testimone privilegiata di un periodo ancora caldo nella storia contemporanea italiana. Una testimone suo malgrado. Né vittima, né carnefice, semplicemente una ragazza. Da un lato c’è la figura paterna, assente, contraddittoria, complessa, capace di suscitare alternativamente sarcasmo e invidia nei compagni di scuola. Dall’altro, un percorso di crescita e maturazione che ha come tutori hippy e intellettuali, famiglie ‟bene” e rivoluzionari armi in pugno. Sullo sfondo il terrorismo, la politica extraparlamentare, i movimenti. E poi il padre in carcere, il suo periodo francese, l’irreperibilità, i trasferimenti forzati della famiglia. Ma tutto, ancora una volta, viene ricondotto a lei, Anna. Anna che soffre di disturbi alimentari, che si innamora, che cerca stabilità nella sfuggente figura paterna, che mal tollera la nevrotica sfida della madre nel tenere unita la famiglia, che prova a vivere una vita normale tra i banchi di scuola.