L'anonimo di questa straordinaria "confessione" è un professore e poeta americano, ha cinquant'anni, un figlio adolescente arrivato a due passi dal suicidio, una famiglia devastata, un matrimonio allo sfascio, e conosce un lungo periodo di abulia e abbrutimento. E` allora che il figlio – dopo essere stato, con la sua rabbia autodistruttiva, motore dello sfacelo – riappare come inatteso interlocutore. Il tema comune è la droga, l'ecstasy. Dapprima goffamente, poi sempre più lucidamente, il padre si avvicina, assapora, intensifica il suo rapporto con l'ecstasy. Ne segue una sorta di profonda rinascita. L'anonimo estensore di questo "documento" si fa paladino del consumo di ecstasy, ne rivendica la "delizia", ne suggerisce l'uso, a fronte di una sofferta ma netta presa d'atto "che con la chimica si vive meglio". La forza della confessione è tutta nel racconto, nella potenza, anche linguistica, con cui l'uomo scava nell'orrore del malessere e assapora la luce dell'armonia interiore, sino a rischiare l'apologia del consumo della droga.