“A lungo andare la ‘recita’ è diventata una parte integrante della mia natura. Non è più una recita.”
Il giovane Kochan ha dovuto imparare fin da piccolo a vivere celando la propria autentica identità, poiché da sempre in lui “difetta in via assoluta qualsiasi forma di voglia per l’altro sesso”. In pagine intrise di una commistione di sensualità e candore, esultanza e disperazione, il protagonista deve fare i conti con i propri desideri e le proprie inclinazioni nel Giappone imperiale prebellico, inflessibile e militarista. È così che Kochan è costretto a costruire “la recita”, a indossare la maschera e a raccontarci le esperienze cruciali attraverso le quali è giunto a scoprire i propri, inammissibili, desideri: dalla “adorazione indicibile” per un paio di calzoni azzurri, all’ammirazione estatica per i corpi dei compagni, robusti a confronto del proprio, debole ed emaciato. E poi la folgorante visione di un quadro di san Sebastiano, che lo porterà a considerare il corpo maschile e la morte in modi inaspettati. L’accettazione di se stesso come uomo diverso dagli altri uomini non si attua senza una lotta, tanto strenua quanto vana, per conquistare la normalità: Kochan simula vizi immaginari per far passare inosservate le proprie vere inclinazioni e si costringe a corteggiare la timida Sonoko, sorella di un compagno di scuola.
Un classico della letteratura giapponese moderna, in cui “le emozioni non hanno simpatia per l’ordine fisso” e i sentimenti reali rimangono, tenaci, quelli nascosti dalla maschera della correttezza ufficiale.