La tesi del libro è che il concetto di globalizzazione metta in luce tutt’al più gli aspetti dell’unificazione economico-finanziaria e tecnica del mondo contemporaneo, ma sfugga alle questioni di fondo: che sono poi quelle dei rapporti tra le diverse culture, della loro coesistenza insieme necessaria e conflittuale. L’Occidente moderno è caratterizzato dall’ibridazione con ciò che non è moderno. Dal disconoscimento di questo fatto e dall’incapacità di confrontarsi con esso offrendo un nuovo patto di convivenza alle altre culture presenti sul pianeta, derivano la violenza e la guerra. La cosiddetta ‟globalizzazione”, anche quando il concetto è usato in modo critico, vede il mondo tutto sotto il segno di una modernità occidentale dispiegata e trionfante. Invece, è necessario mutare il nostro sguardo e cominciare a chiedersi se, sotto l’immagine di tanta potenza, non ci sia piuttosto un’intrinseca debolezza, una malattia, di cui la guerra irachena è il sintomo più vistoso. La possibilità di un declino dell’Occidente si fa forse oggi per la prima volta concreta, se ci si riferisce al meglio della sua storia e dei suoi valori illuministici di tolleranza e progresso civile, e non certo alla paura irrazionale della catastrofe. La tesi conclusiva del libro è che solo il rilancio dell’utopia, oggi nelle vesti di un possibile socialismo interculturale, può davvero scongiurare il pericolo di declino, rilanciando la capacità d’influenza dell’Occidente.