Allegra ed entusiasta, oppure malinconica e afflitta. Bellissima e
fragile, con lo sguardo appena velato da “certi pensieri soffocati”.
Così Federica racconta sua madre, la “fantasmagorica mamma bionda” dai
gesti istrionici, dal portamento elegante e disinvolto attraverso cui
traspare, in filigrana, un’irrimediabile insicurezza. L’autrice scava
nella memoria per comporre il ritratto tenero e disincantato di una
donna tutta luci e ombre, e al tempo stesso un tagliente spaccato di
famiglia incorniciato nell’ambiente borghese di Roma. Con il suo sguardo
di figlia, tra lo struggente desiderio di emulazione e la ricerca della
propria identità, osserva la madre e la decostruisce. La rivede vicino
al telefono, simile a un lepidottero intorno a un fascio luminoso, a
sorvegliare la segreteria in attesa della chiamata di un uomo che non
l’ama davvero. La rivede regina e poi schiava dei suoi amori – amori
sghembi, fatti di assenza, desiderio, euforia e negazioni. La rivede
madre e donna, modello e poi gabbia da cui liberarsi. Da parte di madre è
la storia di un legame indissolubile, di scelte sofferte, della vita
che ti prende e ti trascina via ma alla fine ti riporta lì dove tutto ha
avuto inizio: la prima casa, tua madre. Federica De Paolis ha scritto
un rocambolesco, intimo, profondo romanzo autobiografico fatto di
immagini, voci e atmosfere che trascendono la vicenda personale per
tramutarsi, con toccante immediatezza, in una parabola esistenziale che
investe tutti noi.
Pensavo che l’amore fosse un corpo celeste nel quale tutto era
possibile: il desiderio, l’euforia, l’estasi, per poi attraversare una
cruna e gettarsi
in una landa di gelosia, tradimenti e furia. Restavano le braci piene d’insonnia, attesa e fumo.
Mia madre restava. Era sempre lì.