‟Coi medici, pure fidati, m'offendo; con gli amici m'adiro / e sempre perché mi voglion strappare da questo mio funesto tormento. / E inseguo quel che fa male, fuggo da ciò che potrebbe giovarmi / e a Roma, al pari del vento, sogno Tivoli; a Tivoli Roma.”
Se Orazio, a partire dal 23 a.C. e dopo aver pubblicato le Odi nel 20 a.C., torna a scrivere – ci dice nella lettera proemiale delle Epistole – è per via del tormento di essere quel che non si vorrebbe e di non essere quel che si vorrebbe. L'esperienza lirica è conclusa, poiché non è più l'età del canto della gioia e dell'amore, resta la possibilità di veicolare nel verso meditazioni morali di carattere generale, sul vero, sul bello, sulla condizione umana, rivolte all'uomo comune. Con quest'opera di conversazioni in esametri composta di due libri (rispettivamente di venti lettere e di due aggiunte successivamente e centrate sul tema della poesia) Orazio creò un genere letterario del tutto nuovo. In componimenti eterogenei per materia il poeta tratta di diversi aspetti della vita quotidiana con una pratica saggezza del vivere, nutrita di filosofia stoica ed epicurea. Tenendosi lontano da ogni dogmatismo si abbandona a riflessioni sulla potenziale grandezza umana, sull'incerto procedere del tempo, sulla necessità di restare imperturbabili di fronte a tutto riconoscendo tuttavia il piacere del vivere, soprattutto dell'amore, sull'arte del sapersi accontentare. Celebra la propria indipendenza, polemizzando con gli imitatori servili; elogia il valore dell'amicizia, la vita tranquilla di campagna, la felicità trovata dentro di sé, la verità stoica dell'uomo sapiente. Per congedarsi infine con un autoritratto.
A sé sta la lettera ai Pisoni, o Arte poetica, il più significativo testo di teoria letteraria in lingua latina, da alcuni considerata la terza epistola del secondo libro.