“Haye significa Avanti in tigrino, lingua diffusa fra Etiopia ed Eritrea, e riassume in una parola la filosofia di sopravvivenza del migrante: andare sempre avanti, mai tornare indietro.” scrive Mauro Montalbetti nell’Introduzione al libretto d’opera di Alessandro Leogrande.
Ma Haye non è soltanto racconto delle migrazioni oggi, è anche racconto di quelle di ieri. Ed è soprattutto veicolo per ridare una voce agli uomini e alle donne che scappano da guerre, dittature, carestie, e rischiano la vita sfidando con gli occhi aperti le onde del Mediterraneo, e che in genere vengono ritratti come silenti. Muti, privi di parola, come se fossero incapaci di articolare un discorso logico.
“In Haye,” ci racconta Leogrande, “gli uomini e le donne in viaggio parlano. Pregano, gridano, soffrono, pensano, constatano, ricordano, sognano, immaginano, temono, inveiscono, patiscono, amano, odiano... E lo fanno con un rosario di parole che sono le loro, propriamente loro, e che allo stesso tempo paiono profondamente simili alle parole dei migranti di sempre, anche dei migranti italiani di ieri, di coloro i quali sfidavano l’Atlantico in cerca di una vita migliore, e che spesso morivano in mezzo ad altre onde.”
Con fotografie e bozzetti di scena, e testi introduttivi della regista Alina Marazzi e del compositore dell’opera Mauro Montalbetti.
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