Coerentemente con il suo approccio storiografico che scopre nel presente i
movimenti di "lunga durata", l’autore dimostra un assunto: i recenti
avvenimenti che hanno sconvolto il mondo (l’attacco dell’11 settembre, per
esempio) non hanno intaccato i grandi meccanismi strutturali della
"world-economy", un sistema che sopravvive e si riproduce da almeno
cinque secoli. Certo, è possibile parlare di un "declino dell’America",
ma ciò non dipende dagli eventi correnti, qualsiasi sia il loro impatto o l’impressione
generata sull’opinione pubblica. L’ "impero" americano, dopo il
suo apogeo, è entrato in crisi a partire dagli anni settanta e ha lasciato il
sistema-mondo in uno stato di grande incertezza. Oggi la potenza degli Stati
Uniti è tutta concentrata nell’apparato militare, ma ciò non si converte
meccanicamente in un’egemonia totale (anche se l’intenzione è quella di
usare la forza dell’esercito per ottenere a tutti i costi un primato ormai
venuto meno). È molto improbabile che si possa invertire un declino economico e
politico con un processo militare: anzi, c’è il rischio contrario, quello di
un’accelerazione della crisi. L’inflazione mondiale, la nuova struttura
politica europea, il peso delle economie emergenti, la forza crescente dei
movimenti di protesta contro la globalizzazione diventeranno probabilmente i
grandi vettori del mutamento. Siamo dunque in un’epoca di transizione: il
mondo sta cambiando ed è difficile stabilire le direzioni di rotta se non
attraverso un’analisi che sappia rintracciare nel presente i nessi di lunga
durata con la storia.