Il titolo non tragga in inganno: questo è un libro serissimo, erudito e colto. Ma con un atteggiamento di fondo, esplicitato, raccontato e motivato: quello del detective che un po’ per caso, un po’ per noia segue tracce e scopre indizi. Solo che qui tracce e indizi sono sparsi in opere d’arte o di letteratura o di filosofia: dalla Melencolia I di Dürer al trattato sul romanzo poliziesco di Siegfried Kracauer, alle alchimie nascoste negli affreschi di Palazzo Schifanoia o agli enigmi del Tempio Malatestiano. Il dedalo dei riferimenti, delle citazioni, delle assonanze si snoda di pari passo al rigore del filologo e alla leggerezza del narratore, alla tenacia dell’epistemologo e alla complicità dell’appassionato. Un libro che merita di essere letto più volte, per gustare il gioco di specchi e l’opera a incastro, ma anche per concentrarsi sulla serietà della domanda sulla natura dell’indizio e sul gioco delle tracce, sulla ricerca infinita della casella destinata a ospitare ‟la verità”. Che sia davvero il ‟giallo”, la ‟detective story” la forma moderna dell’interrogativo metafisico per eccellenza: Chi è stato? Perché l’essere e non il nulla? Quali devono essere le strategie della verità in quanto ricerca sul primum movens – cioè, in ogni senso, sul movente?