"Da quando attraversai le Ande ho cominciato inconsapevolmente a
inventarmi un paese." Esattamente ventotto anni dopo il colpo di Stato
cileno (11 settembre 1973), l’attentato terrorista a New York mette in
ginocchio l’America e Isabel Allende sente il bisogno di riflettere sui propri
legami con il paese nativo e con quello di adozione.
Il racconto disegna, sul filo di una memoria che aggira i fatti troppo intimi,
un paesaggio interiore dove aleggiano gli spiriti dei defunti e dove i ricordi
si sovrappongono senza un ordine cronologico. L’autrice evita le date (prima
fra tutte quella della sua nascita!) ma fa rivivere le dimore ora scomparse, i
paesaggi cancellati dall’edificazione urbana e le persone che hanno segnato la
sua vita fino a quando è fuggita alla repressione della dittatura e si è
stabilita prima in Venezuela e poi negli Stati Uniti. La nostalgia per il Cile
("La nostalgia è il mio vizio") è una costante nell’infanzia della
protagonista e riemergono, con tratti vivaci ed emozionanti, le figure familiari
"mitiche" della sua memoria (il nonno, le zie...).
Anche le sue opere fanno parte del racconto, collocate nel contesto esistenziale
in cui sono state scritte: quelle ispirate alla fantastica memoria familiare (La
casa degli spiriti, Eva Luna), le storie che prendono spunto dalla situazione
politica cilena o dall’esperienza venezuelana e poi californiana, il libro
sulla figlia Paula, che le permette di superare attraverso la scrittura un
dolorosissimo dramma personale.
Accanto al disegno delle sue "fonti" letterarie, in cui sono chiamati
a testimoniare ammaglianti spiriti, l’autrice compone un affresco del Cile con
paesaggi che si imprimono nello sguardo e descrizioni acutissime. La nostalgia
per il paese tanto sognato, la freschezza della memoria, l’emozione della
scrittura, l’ideale di giustizia sociale, l’ottimismo e l’amore per la
vita hanno un impatto vincente sul lettore.