“Sopra l’Europa qui spalancheremo una finestra” Púškin
1703: più di tre secoli fa nasceva Sankt-Piterburg. La costruzione di Pietroburgo significò molte cose, ma prima di tutto un atto di predominio con il quale Pietro il Grande volle imporsi alla natura e agli uomini. Mosca, la terza Roma, la città degli zar, era simbolo della guerra contro i tartari, dell’unificazione, della diffusione della fede ortodossa. Ma alle porte della Russia premeva un mondo dinamico, in cui, accanto agli interessi mercantili, fiorivano attività scientifiche e culturali. Pietro I, che nutriva per l’Europa un amore pari forse all’odio per le vecchie tradizioni nazionali del suo paese, decise di occidentalizzare la Russia, e fondò Pietroburgo proprio per aprire una grande finestra sull’Europa. Luogo d’incontro di due civiltà, porto commerciale di grande importanza, capitale della Russia e residenza dello zar, la città raggiunse ben presto l’imponenza delle maggiori capitali europee, da cui prese a prestito non solo criteri urbanistici e architettonici, ma anche istituzioni e usanze. Da Púškin a Majakovskij, da Turgenev a Dostoevskij, non c’è stato poeta, narratore o saggista che non abbia preso partito pro o contro la capitale e la sua rivalità con Mosca, scorgendo dietro le due città concezioni fondamentalmente diverse della nazione russa e dei suoi destini. Il mito di Pietroburgo è un libro fondamentale, un autentico classico della storiografia.