Questi racconti, scritti nella seconda metà degli anni ottanta, sono di ambientazione prevalentemente africana: le storie non si svolgono solo in Sudafrica bensì offrono una panoramica di tutta l'Africa, da quella del Nord a quella centrale, all'Africa australe e insulare. Attraverso di essi Nadine Gordimer affronta tutti i temi a lei particolarmente cari: la politica, l'amore, il futuro, non solo di un paese travagliato come il Sudafrica, ma di un intero continente. Ecco allora scorrere attraverso le pagine una fuga dal Mozambico passando per il Kruger Park, in condizioni così dure da rendere i fuggitivi simili agli animali che i turisti vanno ad ammirare proprio lì; un rapporto d'amore tra una meticcia e uno svedese, messo in pericolo dall'impegno politico di lei; la paura dei bianchi di essere assaliti nelle loro case e il tentativo di trasformare quindi le abitazioni in bunker, con il rischio di rimanervi imprigionati dentro; l'eterno interrogarsi da parte di alcuni bianchi sulla possibilità reale di considerare il Sudafrica come il proprio paese; il finale disgusto di un controrivoluzionario verso ciò che ha fatto. Attraverso tutti i racconti si coglie un'estrema attenzione al linguaggio, all'uso corretto dei termini: è come se il linguaggio impreciso svuotasse l'esperienza del suo significato e creasse complicità con quella perversione del reale propria del vocabolario di sistemi disumanizzati quali l'apartheid.