Il Festival di Sanremo si è appena concluso. Da un hotel che affaccia sul mare arrivano forti e feroci le urla di Pachy, preparatore vocale di otto dei cantanti in gara. “Ci dovevo essere io su quel palco! Io, non loro!” grida Pachy contro il suo compagno, come per dare a qualcuno la colpa della sua furia. Poi, comincia a lanciare dalla finestra cappotti, vestiti, occhiali da sole e scarpe. Gli sembra l’unica soluzione possibile: buttare giù tutto, nel tentativo disperato di non buttarsi giù lui. È sfinito. La malattia, quella che gli ha tolto la voce, colpisce e ferisce ogni centimetro del suo corpo, da anni. Fibromialgia: ha questo nome – e centinaia di sintomi – il sogno mancato di diventare un cantante. C’è un’altra finestra, però, nella storia. Quella della casa di Castellammare di Stabia in cui Pachy Scognamiglio è cresciuto. Sua madre passava così le giornate: fissando i vetri, guardando fuori. Lui era solo un bambino: l’inchino da femmina, invece che da maschio, a fine saggio. Le mani che sudano tanto da bagnare i quaderni. E la paura di crescere perché “Se io cresco, mia madre invecchia”.
Pachy Scognamiglio è figlio del mare, gay, mancino e napoletano: “La mia dote? Tutti gli elementi necessari per essere bullizzato come si deve, fin dal principio”. Ma è anche il vocal coach più amato dalle nostre star. C’è lui dietro al successo di molti, ma dietro al suo, di successo, c’è un’esistenza spezzettata da brusche frenate e sorprendenti rinascite. La musica, sempre la musica, la visione, lo studio, l’amore presente, l’amore passato. E il dolore, soprattutto, da scavalcare con un nuovo incredibile giro di giostra.
“Il primo giro lo sanno fare tutti, è il secondo che ti cambia la vita. Per sempre.”