Inge fotoreporter
Dalla presentazione di Natalia Aspesi
Il viaggio da New York a L’Avana era stato scomodo e avventuroso, quindi entusiasmante per una ragazza come Inge Schoenthal, fotoreporter tedesca molto giovane, molto carina, senza un soldo, senza timidezze, senza paure, con poca ambizione professionale ma molta voglia di conoscere il mondo e di incontrare persone intelligenti, colte, importanti.
Andava a conoscere Ernest Hemingway che allora, nel 1953, a cinquantaquattro anni, aveva già scritto tutti i suoi capolavori ed era una delle massime celebrità letterarie mondiali. Da un anno, a Cuba, Fulgencio Batista aveva instaurato una feroce dittatura, ma lo scrittore americano, che aveva partecipato alla Guerra civile spagnola dalla parte degli antifranchisti e durante la Seconda guerra mondiale era stato coi partigiani in Francia, viveva isolato a venti chilometri da L’Avana nel villaggio di San Francisco de Paula, in una casa cadente, Finca Vigía, in cui abitava con la quarta moglie, Mary Welsh, giornalista, ex corrispondente di guerra del “Time”. Riceveva pochi amici, nessun giornalista, soprattutto se tedesco, perché gli era rimasta dalla guerra una forte antipatia verso la Germania. Ma la ragazza dalla vita sottile e dal sorriso felice arrivava con una raccomandazione importante, quella dell’editore tedesco Rowohlt, che aveva pubblicato i suoi romanzi. Heinrich Maria Ledig-Rowohlt le aveva dato anche un difficile incarico diplomatico: cercare di convincere Hemingway a cambiare la traduttrice che lavorava con lo scrittore dagli anni trenta e il cui linguaggio era invecchiato con lei. Finora non c’era riuscito nessuno durante i suoi rari viaggi a Berlino prima della Seconda guerra, quando si rifugiava nei café letterari mentre Rowohlt faceva il giro dei librai per trovare i soldi che gli doveva.
Chissà se ci sarebbe riuscita questa intraprendente ragazza che non aveva certo un aspetto teutonico: era bruna, sottile e leggiadra, assomigliava un po’ a Leslie Caron e un po’ a Audrey Hepburn e avrebbe potuto essere francese o lappone o anche napoletana. Davanti al suo sorriso deciso, si aprivano, è vero, molte porte. Lei le spalancava su tutto il mondo che voleva conoscere, e gli uomini, ma anche le donne, facevano di tutto per aiutarla. “Erano tempi in cui era possibile essere amici, camerati, star bene insieme, ma senza andare a letto. Non ci veniva neppure in mente: le ragazze non lo facevano e gli uomini avevano paura di chiederlo.”
A L’Avana Inge era arrivata con meno di cento dollari: aveva lasciato la gelida New York in febbraio con un Greyhound. Poi, per risparmiare, aveva proseguito con l’autostop; il suo bagaglio consisteva in una sacca e, a differenza di altri fotoreporter carichi di preziose macchine fotografiche, aveva solo la sua pesante Rolleiflex appesa al collo. Aveva raggiunto Miami con due hostess conosciute su una spiaggia e che l’avevano ospitata per qualche giorno. Da Miami a Cuba l’aereo costava ventotto dollari, somma per lei improponibile. Quindi accettò il passaggio di due taxisti fuori servizio ubriachi, che guidavano come pazzi. Con loro arrivò fino all’aeroporto di Key West, dove salì su un monomotore poco affidabile per soli dieci dollari.
Arrivò a L’Avana mezza morta, ma carica di aspettative e ansiosa di meraviglie. In cerca di un alloggio a buon mercato, si trascinò sino a una pensioncina che, frequentata da troppi uomini, risultò essere un bordello da cui fuggire immediatamente. Per cinque dollari al giorno trovò finalmente rifugio in una pensione a conduzione familiare: a quel prezzo, le diedero come stanza il ripostiglio dove i camerieri si cambiavano. Per due settimane fu impossibile raggiungere al telefono lo scrittore: i contatti, in spagnolo, venivano tenuti tra i camerieri di casa sua e quelli della pensione San Carlos, e intanto Inge se ne andava a spasso sull’isola, dove non mancavano mai corteggiatori che la invitavano a pranzo e a cena. Poi, finalmente, arrivò la magica telefonata: con la sua voce cavernosa, Papa comunicò solennemente che accettava di incontrare la persona raccomandata da Rowohlt. Da gentiluomo avrebbe mandato una macchina a prenderla, ma quando Inge rifiutò rispondendo “prendo l’autobus”, lui le suggerì di portarsi il costume da bagno: aveva capito che a pranzo sarebbe arrivata non una donna qualsiasi ma una ragazza giovane e che avrebbe incontrato per la prima volta una tedesca della nuova generazione, senza alcun legame con i tempi del nazismo. Alla Finca Vigía Inge fu invitata a rimanere due settimane. C’erano trenta gatti, cinque servitori, un maggiordomo di colore. La moglie Mary era carina, sportiva, molto attraente, certo esagerata quando diceva, lei ex giornalista: “In una casa non possono esserci due scrittori, per questo ho rinunciato al mio lavoro per lui”.
Alle due del pomeriggio Hemingway era già ubriaco: a tavola beveva solo Valpolicella, in casa Martini on the rocks, poi scendeva in città al Floridita, il bar molto elegante che ancora oggi conserva in un angolo un suo busto. E lì beveva daiquiri come fosse acqua. Fotografarlo era difficile, lui sfuggiva all’obbiettivo e anche a tutto quello che poteva sembrare un’intervista. Aveva la fissazione della pesca, e portava Inge sulla sua barca Pilar assieme a Gregorio Fuentes, il marinaio che gli aveva ispirato Il vecchio e il mare, che oggi ha centosei anni. Oppure la trascinava sulle barche dei suoi amici miliardari americani, ma, dispettosamente, se ne stava tutto il tempo a parlare coi marinai, ignorando gli altri. In città la povertà era pazzesca, tutto era fatiscente, lurido, miserabile: c’era gente accasciata nelle strade che chiedeva l’elemosina, e lui buttava manciate di monetine per terra. Inge, arrabbiata, gli disse: “Lei si comporta come uno sprezzante colonialista del passato in India”. Hemingway si offese a morte e per tutto il giorno non le rivolse più la parola, ignorandola. Di foto ne aveva fatte a sufficienza, così la ragazza, senza dir niente, preparò la sua sacca per andarsene con il pullman. Ricorda Inge: “Per uscire dovevo attraversare il soggiorno e lui era là, silenzioso e affranto: era il 5 marzo del ’53 e la radio stava dando la notizia della morte di Stalin. Non partii, stemmo tutta la notte a parlare di quell’uomo grandissimo che era per lui Stalin. Mi disse, ‘È lui che ha salvato la tua Berlino’”.
Inge Schoenthal ricorda Hemingway come un uomo sensibile e intuitivo, capace, dietro quell’aspetto da orso, di affetto e generosità. Un giorno arrivò a casa sua un amico poeta conosciuto a Parigi negli anni venti; era a pezzi e lo scrittore per due giorni si dedicò solo a lui, ridandogli fiducia. “Era un uomo grande, estremo, anche buono malgrado il suo egocentrismo e ‘machismo’.”
Fu il servizio fotografico su Hemingway che diede a Inge un po’ di notorietà. Fino ad allora era stata una perfetta sconosciuta, una ragazza sveglia che si guadagnava faticosamente la vita facendo fotografie per riviste tedesche come “Constanze” o “Kristall” e adesso quelle di Hemingway fecero il giro del mondo, le comprarono “Paris Match”, “Picture Post” e altre grandi riviste. E si aprirono altre porte difficili, come quelle di Picasso o di Simone de Beauvoir o di Marc Chagall. Le foto comunque le aveva regalate a Rowohlt, senza il cui aiuto mai avrebbe potuto avvicinare il grande scrittore. Quando l’anno scorso, per il centenario della nascita di Hemingway, la casa editrice Rowohlt ha pubblicato in edizione rilegata Il vecchio e il mare in centomila copie, ha usato come controcopertina una delle foto di Inge…
Inge Schoenthal Feltrinelli
Inge Feltrinelli è nata e cresciuta in Germania. Prima di trasferirsi a Milano, nel 1960, ha lavorato come fotoreporter in tutto il mondo, intervistando tra gli altri Ernest Hemingway, Pablo …
Booksigning con Inge Feltrinelli
Mercoledì 12 marzo a Milano alla Galleria Carla Sozzani.