La tazzina del diavolo

‟Una volta che gli etiopi ne ebbero scoperto i poteri psichedelici, fu solo questione di tempo prima che il caffè si affermasse anche presso i loro vicini. A detta di alcuni furono gli egizi del periodo dei faraoni i primi a diventarne fanatici. Alcuni studiosi sovraeccitati sostengono addirittura che il leggendario nepente egizio, usato da Elena di Troia come bevanda per 'alleviare i propri dolori', fosse una primitiva forma di frappuccino.”

Stewart Lee Allen racconta un anno della sua vita in viaggio sulle Vie del caffè per ripercorrere la storia di questa bevanda fin quasi a tracciare un insolito paradigma del progresso della civiltà. L'anno è il 1988: dal Kenya Allen risale in Etiopia nella città di Harrar dove ha avuto inizio la civiltà del caffè e dove si spensero i sogni avventurosi di Rimbaud. La tappa successiva è Jiiga, alla scoperta di cerimonie religiose legate alla mistura del diavolo. Quindi, in compagnia di alcuni profughi somali l'autore su una barca attraversa il Mar Rosso, per approdare sulle coste dello Yemen, nel porto di alMakkha, storpiato in Mocha, il soprannome universale del caffè. Qui venne preparata la prima tazza intorno al Duecento. Quando tre secoli più tardi la città venne conquistata dai turchi, il caffè era bevuto in tutto l'Islam. Addentrandosi nello Yemen verso la capitale Sana'a e nel suo più antico suq, Allen conosce il volto della sorella maligna del caffè, la pianta del qat, una droga che gli yemeniti masticano senza sosta in uno stato di intontimento perenne. Il viaggio continua in Turchia, passa da Vienna e assapora la tradizione dei famosi caffè viennesi; approda a Londra e a Parigi prima di raggiungere la Normandia e poi salpare per il Nuovo Mondo. E il tour finisce in una scorribanda sgangherata sulla Route 66 da New York a Los Angeles.