“L’ideale meritocratico non è un rimedio alla disuguaglianza; è una giustificazione della disuguaglianza.”
Chi lavora sodo e gioca secondo le regole avrà successo e sarà capace di elevarsi socialmente e professionalmente: è un’idea molto radicata su entrambe le sponde dell’Atlantico. Se tutti hanno le stesse opportunità, allora chi emergerà grazie ai propri sforzi o alle proprie capacità se lo sarà meritato. Se invece non riuscirà a emergere, la responsabilità sarà soltanto sua. È questo il lato oscuro dell’età del merito, una retorica dell’ascesa che le élite – anche quelle che pretendono di interpretare la tradizione della sinistra – hanno scelto come soluzione ai problemi della globalizzazione, voltando di fatto le spalle a chi dell’élite non fa parte. In una società nella quale l’uguaglianza delle opportunità rimarrà sempre una chimera, il contraccolpo populista degli ultimi anni è stato una rivolta contro la tirannia del merito, che è umiliante e discriminatoria. Da questa ondata populista, dimostra il filosofo Michael Sandel, dobbiamo imparare: non per ripeterne gli slogan xenofobi e nazionalisti, ma per prendere sul serio le richieste legittime che ne sono all’origine.