Per la prima volta dalla nazionalizzazione dell'energia elettrica che gelò
la Borsa per trent'anni, il grande capitalismo italiano pubblico e privato ha
avuto dalla sua per un lungo periodo di tempo i mercati finanziari. La decisione
dello stato di privatizzare le imprese pubbliche e le inchieste giudiziarie di
Mani pulite avevano creato l'opportunità di aumentare il numero delle grandi imprese efficienti e di costruire
una democrazia economica basata sulla trasparenza e la concorrenza. Alla prova
dei fatti, invece, il capitalismo italiano ha meno protagonisti di prima: più
grandi e più deboli, e questo perché i nuovi padroni del vapore hanno usato i
soldi del mercato per regolare i conti fra loro anziché investirli nella
crescita vera della grande impresa. Il bilancio è sconsolante. Tra il 1986 e il
2001, la Fiat, il primo gruppo industriale del paese, ha distrutto ricchezza per
27 mila miliardi di lire, la Montedison per 9 mila, Olivetti per 14 mila,
Pirelli per 4 mila. Contrariamente ai pregiudizi, lo stato imprenditore può
vantare ottimi risultati: l'Eni ha creato ricchezza per 36 mila miliardi, l'Enel
per 22 mila, Telecom, addirittura, per 94 mila miliardi di lire. Non a caso i
nuovi padroni del vapore, confermando un'antica profezia del grande banchiere
Enrico Cuccia, stanno cercando di comprare i monopoli pubblici in fase di lenta
liberalizzazione. E la Fininvest? In sedici anni ha fatto "guadagnare"
al suo proprietario 11 mila miliardi di lire. A differenza degli Agnelli, che
nel 1990 hanno avuto paura di conquistare gratis la Chrysler, Silvio Berlusconi
ha avuto il coraggio, nel suo momento di maggior debolezza, di dare la scalata a
un intero paese, l'Italia, per salvare le proprie aziende e la loro posizione
dominante sul mercato dei media. Nell'Italia del centrodestra che sogna il
diritto al licenziamento senza giusta causa dei lavoratori, è arrivato il
momento di chiedersi se e come lo stesso provvedimento possa essere preso verso
gli azionisti di comando quando le giuste cause sono, nel loro caso, così
frequenti.