Una madre, una figlia, una nipote. Tre figure femminili travolte dalla Storia e dai suoi orrori. Un indumento magico, un feticcio: lo scialle che protegge e nasconde. In pagine sobrie ed essenziali, con pochi, nitidi tratti, Cynthia Ozick riesce a narrare l'inenarrabile: l'esperienza del lager, la sopravvivenza al lager. Nel racconto febbricitante e visionario di Rosa, una donna, una madre che ha perduto la figlia e con essa ogni ragione di vita, il passato incombe sul presente e il presente si volge al passato. Il prima e il dopo si richiamano di continuo, senza apparente via di scampo. Il conseguente esilio volontario e l'estraneità al mondo di Rosa rasentano una follia che si erge a baluardo contro la disperazione e contro i tentativi di intrusione altrui. Tutto le appare una grottesca riproposta della tragedia, così rifugge ogni contatto, respinge ogni approccio, rifiuta ogni essere umano. Con un'eccezione, tuttavia, che insinua una tenue speranza, in quello che è un piccolo capolavoro della letteratura ebraico-americana.