Quando Barthes scriveva La morte dell'autore, nel 1968, il New Criticism americano aveva già da un decennio attaccato la nozione di "intenzione dell'autore" e Blanchot aveva già elaborato la sua teoria dello spazio impersonale anonimo, in cui lo scrittore trova la propria morte. Ma è in quei tardi anni Sessanta che il tema della morte dell'autore esplode, soprattutto in Francia, in trattazioni filosofiche, critiche e poetiche, legato ai nomi di Derrida, Kristeva, Sollers e al Lacan della sovversione del soggetto. Ci si sbarazza gradualmente della necessità di ricorrere alla coscienza intenzionante dell'autore per parlare solo di intenzione del testo, in contatto con una miriade di altri testi a creare un organismo acefalo e reticolare: l'intertestualità. Ma l'autore, sostiene Carla Benedetti, non è affatto scomparso, anzi la sua funzione non è mai stata così centrale come nella comunicazione letteraria odierna. Attraverso un'analisi acuta e fortemente argomentata, attraverso letture, illuminazioni, incontri, Carla Benedetti svela contraddizioni e malesseri e libera la teoria dal dogma e dall'ipocrisia che lo alimenta. L'ombra lunga dell'autore mostra senza esitazioni la cecità dei teorici della letteratura e ci" che il mito della morte dell'autore ha lasciato in eredità: un'idea epigonale di letteratura.