Protagonista della storia è il re di Soba, un centro dell'impero mandingo: Gighi Keita, il cui regno dura centovent'anni e la cui terra viene conquistata e sottomessa dai ‟Nazareni” (ossia i bianchi) francesi a inizio 900. I cantori delle imprese reali, i griot, celebrano la gloria di Gighi che ha impedito la conversione del suo popolo dalla religione musulmana al cristianesimo, anche se in realtà il re nulla può contro una dominazione che porta morte e distruzione tra gli africani. I francesi promettono a Gighi un treno che collegherà il suo regno al resto del mondo, ma per farlo lo obbligano a procurar loro manovalanza. Il popolo di Gighi muore così di stenti nella costruzione della ferrovia, e i francesi in più fanno giurare fedeltà alla loro bandiera e pretendono che gli africani si arruolino e combattano al loro fianco nella prima e poi nella seconda guerra mondiale contro gli Allamà, i tedeschi. Quando poi Pétain prenderà il potere e a Soba arriverà il nuovo governatore francese, Bernier, Gighi verrà deposto e sostituito dal figlio Bema, avuto dalla giovane Mussokorò (la favorita di cui in un flashback viene raccontata la storia). La ricca vicenda del romanzo, che narra di un'intera civiltà (con tanto di regni, cantori, tradizioni, miti, indovini) spazzata via dalla storia a opera del colonialismo, costituisce un autentico epos, scandito da metafore, termini africani, più voci narranti. Senza manicheismo nella rappresentazione di negri buoni e bianchi cattivi, mostra come gli africani abbiano contribuito alla propria sottomissione con peccati loro (interesse, ingenuità, ambizione ecc.), non ultima la cecità di Gighi che sino alla fine non capisce l'errore commesso, ossia di aver creduto che la ferrovia fosse un omaggio francese alla sua regalità anziché l'ennesimo strumento di sfruttamento da parte dei bianchi.
Monnè, che Kourouma definiva il suo preferito ed è il suo secondo romanzo, è uscito da Epoché nel 2005.