L'uomo così come è stato plasmato dalle culture occidentali si è
singolarmente allontanato da se stesso e dal suo ambiente naturale. La filosofia
cristiana, la psicologia e la scienza hanno contribuito a ridurre la natura,
umana e non, a una realtà da conquistare e riordinare, per sottrarla al potere
del demonio o assoggettarla alla tecnologia di un intelletto razionale. Ma la
coscienza tecnologica e razionale è estranea all'uomo naturale quanto lo era
la sua anima soprannaturale: per entrambe la natura e l'uomo naturale sono l'oggetto
di uno studio condotto mediante una tecnica che lo rende estraneo, quindi
diverso, rispetto al soggetto che lo osserva. Tuttavia le divisioni tra spirito
e natura, mente e corpo, sono sempre più percepite come goffe convenzioni
linguistiche, incapaci di descrivere un mondo dove gli avvenimenti sono
interdipendenti, le cose comprensibili solo se poste in relazione tra loro e l'uomo
non pensabile come separato dalla natura. È la filosofia cinese taoista, con le
sue ramificazioni nel buddhismo zen e nel neoconfucianesimo, a proporre una
concezione della natura in cui l'uomo non risulta un intruso. Non è tanto un
sistema teoretico, quanto un modo di vivere, in cui si recupera il senso
originale dell'unità ininterrotta con la natura, senza che vada perduta la
coscienza individuale; una filosofia che si applica anche al rapporto tra uomo e
donna, e alla sessualità, spesso non più che tollerata in Occidente.