Due grandi narrazioni si sono contese l’intelligenza del mondo in questi ultimi anni: l’americana ‟guerra al terrorismo” e l’esaltazione del martirio da parte dei jihadisti. Il panorama che ne risulta è desolante: ostaggi sgozzati in Iraq, prigionieri abusati ad Abu Ghraib o a Guantánamo, un’infinita scia di sangue da Gerusalemme a Kabul.
Nei fatti, entrambi gli schieramenti hanno perso la loro battaglia, combattuta rispettivamente in nome della democrazia e dell’islamismo radicale. Aprendo la strada al loro nemico comune, l’Iran, hanno anzi ravvivato un conflitto tra sciiti e sunniti che pareva sedato, sulle rive petrolifere di un Golfo sempre più crocevia degli equilibri mondiali. Con il successo di Hezbollah in Libano e la conquista politico-militare di Gaza a opera di Hamas, d’altro canto, i due obiettivi del piano di conquista americano – mettere in sicurezza lo stato d’Israele e controllare i mercati petroliferi – risultano più che mai una chimera.
Come rompere il circolo vizioso del Terrore e del Martirio? L’unica possibilità risiede nell’Europa e nella sua azione politica. È vero: nel post-11 settembre l’Europa ha rivestito un ruolo secondario, pur essendo presa di mira dagli attentati di Madrid e di Londra, ed è rimasta in scacco per l’affare delle caricature blasfeme del Profeta apparse su un giornale danese e per la rivolta delle periferie francesi animata dai figli degli immigrati di seconda e terza generazione. Ma in realtà l’Europa potrebbe diventare il vettore, forse l’unico, con cui poter sfidare questa barbarie generalizzata, se riuscisse a costruire uno spazio di prosperità che raccogliesse sotto la sua luce tutto il Mediterraneo, in grado così da garantire la cornice adeguata per la pace.