“Come vanno le cose. E cosa le guida. Un niente”
Una Toscana segreta e stregata, una stazione della Riviera, una Lisbona baudelairiana, un rally di automobili d’epoca, un distinto ma implacabile persecutore in un treno da Bombay a Madras. I racconti di Tabucchi sembrano, a una prima lettura, avventure esistenziali, ritratti di viaggiatori ironici e disperati. Ma l’apparente sintonia fra il reale e il narrato diventa all’improvviso turbamento e sconcerto. Come degli obliqui “racconti filosofici”, le storie si trasformano in una riflessione intorno al caso e alla scelta, un tentativo di osservare gli interstizi che attraversano il tessuto dell’esistenza. Tra le pagine aleggia un’inquietudine metafisica che evoca la migliore tradizione italiana da Piero della Francesca a De Chirico a Pirandello. Ma Tabucchi, che ama i personaggi eccentrici e le vite sbagliate, carica i suoi enigmi di una luce strana; i suoi geroglifici “polizieschi” sono le indagini di un investigatore che non cerca risposte ma un messaggio, un segnale, un’apparizione.