“La fenomenologia non è un metodo terapeutico, ma un tentativo di comprendere l’essere umano”
L’ansia della psichiatria di accreditarsi come scienza, sul modello delle scienze della natura, ha portato all’oggettivazione del folle nella più completa rimozione della sua soggettività. Quello che per un greco antico era un “invasato dal dio”, per un medievale un “posseduto dal demonio”, per la scienza psichiatrica diventa un “malato”. L’uso di termini come mente e corpo, apparato psico-fisico, psico-somatico, bio-psico-logico dicono che la psichiatria non ha mai riconosciuto l’unità dell’esistenza, ma solo la composizione delle parti.
Sostituendo il dualismo cartesiano con la visione fenomenologica che si rifà all’immediatezza del mondo della vita, la psicologia non dovrà più spiegare i misteriosi rapporti che intercorrono tra psiche e corporeità, ma descrivere le evidenti relazioni che intercorrono tra il corpo e il mondo e le produzioni di significato che queste relazioni esprimono. Per la psicologia fenomenologicamente fondata, infatti, sia il “sano” sia l’“alienato” appartengono allo stesso mondo, anche se l’alienato vi appartiene con una struttura di modelli percettivi e comportamentali differenti, dove la differenza non ha più il significato della “disfunzione” ma semplicemente quello della “funzione” di una certa strutturazione esistenziale, ossia di un certo modo di essere-nel-mondo e di progettare, nonostante tutto, il mondo.