Per qualche mese, nel 2014, tutto il mondo ha tremato di fronte a un minuscolo virus. Ebola è uscito dalle foreste dell’Africa e ha minacciato di spostarsi a bordo di navi e aerei, arrivando a lambire le cosiddette nazioni sviluppate. Per la prima volta, gli occidentali hanno guardato la catastrofe umanitaria con gli occhi di chi teme che possa bussare alle porte di casa sua.
Come mai l’epidemia era così estesa? Come si poteva fermare? Emergency era arrivata in Sierra Leone sul finire della guerra civile che aveva insanguinato il paese per tutti gli anni novanta. Lavorava con le vittime delle mutilazioni, delle mine antiuomo, degli stupri – come sempre contro la violenza dell’uomo sull’uomo. Improvvisamente si è ritrovata in prima fila in un altro conflitto: una guerra scatenata da un virus, una guerra che finalmente valeva la pena combattere, con le armi della medicina, della scienza e dell’umanità.
Gino Strada è volato in Africa, insieme a Roberto Satolli (medico e giornalista, amico di Gino dai banchi del liceo), Fabrizio Pulvirenti e decine di volontari le cui voci e racconti popolano questo libro. E ha scoperto che neanche questa guerra è “giusta”: anche qui c’è chi racconta bugie, chi si arricchisce mettendo in pericolo i civili, chi si riempie la bocca di alti principi ma non pensa affatto di applicarli. In queste pagine la voce di Gino Strada torna a levarsi per denunciare l’ingiustizia di un mondo diviso tra chi può curarsi e chi può solo fare il favore di morire senza infettare nessun altro, tra chi gestisce l’emergenza stabilendo linee guida burocratiche e chi resta in mezzo ai malati spendendosi in prima persona, tra chi costruisce strade per sfruttare le miniere e chi le percorre portando con sé un virus perché a casa propria non ha fogne né acqua potabile. Cercare di offrire agli umili e indifesi le stesse cure a disposizione dei ricchi e degli occidentali è un gesto rivoluzionario.
“C’è una cosa che mi dispiace più di tutte,” dice Fabrizio, a un certo punto di questa sarabanda. “Una sola?” “Che per nessuno di loro è stato fatto tutto questo.” Loro, i malati africani. Loro, i malati non occidentali.
Si può, si deve, curare tutti nello stesso modo. Questa è la storia di chi ci ha provato.