Il libro di Paolo Morando, La strage di Bologna. Bellini, i NAR, i mandanti e un perdono tradito, racconta i retroscena di uno dei più foschi personaggi e della più grave strage neofascista della storia italiana. Un estratto per i lettori del sito Feltrinelli editore.
La mattina del 2 agosto 1980, dunque, Paolo Bellini era alla stazione di Bologna. Ed era lì per commettere assieme ad altri una strage, la più grave della storia d’Italia. Bellini colpevole, anzi “esecutore”, in concorso con i già condannati Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini, quest’ultimo solo in primo grado (verdetto del 9 gennaio 2020): questo ha ritenuto la Corte d’assise di Bologna, attraverso la sentenza emessa mercoledì 6 aprile 2022 che lo ha condannato all’ergastolo (con isolamento diurno di un anno, mentre la Procura ne aveva chiesti tre). Ma il capo d’imputazione parlava di concorso anche con Licio Gelli e Umberto Ortolani, cioè i vertici della P2, “in qualità di mandanti-finanziatori”, e con Federico Umberto D’Amato, cioè l’ex prefetto a lungo a capo dell’Ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno (il servizio segreto civile pre-Sisde), indicato invece come mandante-organizzatore. Infine con il giornalista Mario Tedeschi, storico direttore del settimanale “Il Borghese” e già senatore del Movimento Sociale Italiano: nel suo caso “quale organizzatore per avere coadiuvato il D’Amato nella gestione mediatica dell’evento strage, preparatoria e successiva allo stesso, nonché nell’attività di depistaggio delle indagini”. Quattro nomi di persone già da tempo decedute, che quindi mai verranno formalmente condannate o assolte. Il concorso era comunque allargato ad “altre persone da identificare”: come dire insomma che il cerchio non è affatto chiuso attorno a questi nomi. E chissà se si riuscirà mai a chiuderlo davvero.
Dopo un dibattimento durato quasi un anno esatto (era iniziato il 16 aprile 2021) e protrattosi per ben 76 udienze, in camera di consiglio sono bastate appena tre ore: e già questo è un dato che la dice lunga su quanto la Corte (i togati Francesco Maria Caruso, presidente, e Massimiliano Cenni, più sei giudici popolari) non abbia avuto dubbi. Un verdetto non imprevisto, data l’imponenza degli indizi accumulatisi contro l’ex esponente di Avanguardia Nazionale già assassino nel 1975 di Alceste Campanile, giovane di Reggio Emilia (quindi suo concittadino) militante di Lotta Continua. Ma nel passato di Bellini c’è molto altro: a partire da rapporti con strutture istituzionali che lo hanno portato anche a essere coinvolto nella complicata partita Stato-mafia di trent’anni fa. E a lungo è stato pure un sicario per conto della ’ndrangheta, con addirittura una dozzina di omicidi nel proprio curriculum. È vero che Bellini ha sempre negato di essere organico a strutture di intelligence della Repubblica, così come quelle stesse strutture, interpellate dai magistrati, hanno pure negato tale circostanza. Ma sarebbe stato sorprendente il contrario. Mettetevi infatti nei panni di un imputato che rischia l’ergastolo, il cui destino giudiziario dipende dal riuscire o meno a contraddire gli indizi che lo indicano sulla scena di una strage: vi difendereste affermando di essere un uomo dei servizi segreti, rischiando così di veder moltiplicati i sospetti? E quei servizi segreti, come potrebbero ammettere che uno dei loro era lì? E soprattutto: a che titolo?
La strage di Bologna di Paolo Morando
Il 2 agosto 1980 Anna Di Vittorio perse il fratello Mauro. In quei giorni conobbe Gian Carlo Calidori, poi divenuto suo marito, che nella strage aveva perso invece un amico. Una quindicina d’anni fa, dopo un lungo percorso di corrispondenza e conoscenza con Francesca Mambro e Valerio Fiora…