Giuseppe Oddo, autore con Andrea Greco di L’Arma del gas, L’Europa nella morsa delle guerre per l’energia, interviene sull’impatto su gas e energia dopo l’attacco di Hamas a Israele.
Il recente attacco di Hamas a Israele si inserisce in un contesto di tensioni e litigiosità tra gli Stati del quadrante orientale del Mediterraneo: Grecia, Cipro, Turchia, Siria, Libano, Israele, Striscia di Gaza, Egitto e Libia. L’obiettivo di ciascuno di questi paesi è il controllo delle ingenti riserve metanifere scoperte negli ultimi quindici anni nel Mar di Levante. L’oggetto del contendere è la delimitazione dei confini delle rispettive zone economiche esclusive: l’area marina che comincia dove finiscono le acque territoriali di uno Stato rivierasco (a 12 miglia dalla costa) e che si estende in linea retta per altre 188 miglia nautiche. Sulle materie prime energetiche che ricadono all’interno di questo esteso tratto di mare, lo Stato esercita infatti la sua sovranità ed è libero di rilasciare concessioni di ricerca, mettendo in gara le compagnie.
Con i ritrovamenti effettuati nella sua zona economica esclusiva, Israele, che non aveva fonti di energia e fino al 2008 copriva il 40% del suo fabbisogno importando dall’Egitto, è divenuto un paese esportatore. Adesso è lo Stato ebraico a vendere il suo gas all’Egitto. La maggior parte del metano estratto dal giacimento di Tamar, chiuso nei giorni scorsi per motivi di sicurezza, per il timore che possa essere colpito dai razzi di Hamas, oggi è acquistata dal Cairo. E Tamar è un piccolo giacimento a confronto di quello supergigante di Leviathan, che ha tanto gas da poter soddisfare i consumi di Israele per i prossimi centoventi anni. Ciò dà la misura dell’enorme posta in palio nel grande gioco per la conquista delle risorse energetiche del Levante.
Anche l’Egitto ha fatto in questi ultimi anni un grande salto dimensionale con la scoperta, effettuata dall’Eni, del giacimento di Zohr, il più grande mai rinvenuto nel Mediterraneo, in produzione dalla fine del 2017. Sotto la guida autoritaria del generale al-Sisi il paese punta a diventare un grande centro di smistamento del gas per l’intera regione mediterranea. In questo l’Egitto è in ruvida competizione con la Turchia di Erdogan, che ambisce ad ottenere un ruolo analogo per il gas proveniente dall’Asia centrale, in particolare dall’area caucasica, e diretto in Europa.
Ankara, che ha il problema di ridurre la sua eccessiva dipendenza dal gas russo, vorrebbe addirittura convincere Israele a far passare il metano di Tamar e di Leviathan per l’Anatolia, per poi avviarlo sui mercati dell’Unione europea attraverso la rete di metanodotti turca. Solo che l’infrastruttura di collegamento dovrebbe transitare per le acque di Siria e Cipro, paesi privi di rapporti diplomatici con la Turchia.
Il paese della mezzaluna è l’elemento di maggiore criticità della regione per le ambizioni di potenza del suo presidente. La sua aggressività si è spinta al punto di minacciare il governo di Atene accusato di considerare la miriade di isole dell’Egeo, anche quelle che bordeggiano la costa turca, come la naturale prosecuzione della piattaforma continentale greca, mentre per la Turchia queste rappresentano un’eccezione geografica che non dovrebbe influire sulla ripartizione delle zone economiche esclusive tra i due confinanti.
Il leader turco non tollera che il diritto internazionale riconosca a ogni isola greca, anche a quelle minuscole come Castellorizo, la possibilità di trivellate lungo un’area di 188 miglia, comprimendo gli spazi di ricerca a mare del suo paese e ridimensionando le sue mire espansionistiche.
Un altro grande punto interrogativo è la Siria, attraverso cui l’Iran vorrebbe far transitare un gasdotto per dare uno sbocco sul Mediterraneo al gas che estrae dal giacimento di South Pars, nel Golfo persico. L’infrastruttura, che prima dovrebbe attraversare l’Iraq, è stata però fortemente avversata dal Qatar e dagli Usa, mentre ha ricevuto l’avallo della Russia di Putin, che nel conflitto in Siria appoggia il presidente Bashar al-Assad.
Peraltro, il timore di alcuni osservatori è che la guerra israelo-palestinese possa favorire la costituzione di un asse tra russi e iraniani (questi ultimi accusati di essere registi dietro le quinte dell’offensiva scatenata il 7 ottobre dall’organizzazione islamica sunnita). Questo, più dell’aumento dei prezzi degli idrocarburi, è considerato il principale rischio indotto della guerra tra Hamas e Israele. E con la decisione di Algeria e Tunisia di schierarsi con i palestinesi appare sempre più depotenziato il “piano Mattei per l’Africa”, annunciato dal governo Meloni un anno fa, al momento del suo insediamento, ma mai esplicitato nei contenuti.
L'arma del gas di Andrea Greco, Giuseppe Oddo
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Giuseppe Oddo
Giuseppe Oddo, giornalista, già inviato de "Il Sole 24 Ore", ha pubblicato con Giovanni Pons L’Affare Telecom (Sperling & Kupfer, 2002) e, con Andrea Greco, Lo Stato parallelo. La prima inchiesta sull’Eni (Chiarelettere, 2016). Per Feltrinelli ha …