‟Io, che ho fatto scomparire il duce”. Intervista a Marco Archetti

‟Io, che ho fatto scomparire il duce”. Intervista a Marco Archetti

Intervista a Marco Archetti, trentenne narratore e autore di Maggio splendeva in cui il protagonista ha il potere di far sparire con lo sguardo persone e oggetti. Un romanzo ambientato nel Ventennio e dalla trama intrigante.

I dubbi del ‟Che” sul sogno comunista. Intervista a Pierre Kalfon

I dubbi del ‟Che” sul sogno comunista. Intervista a Pierre Kalfon

Pierre Kalfon, saggista, giornalista e autore della biografia del ‟Che”, ripercorre alcuni momenti della vita di Ernesto Guevara, soffermandosi in particolare sul rapporto con Fidel Castro e sulle loro differenti visioni politiche.
‟Già a partire dal 1964, ma forse anche prima - da quando il Pcc si impossessa di tutta la macchina dello Stato - comincia a esprimere serie perplessità: lo confessa in privato a un amico, dicendogli che non bisogna fidarsi troppo del Partito comunista. Il "Che" è contrario a ogni forma di nomenklatura. I primi segnali allarmanti si vedono con l’espulsione di Jorge Masetti dall’agenzia Prensa Latina, di cui era stato il fondatore, perché troppo indipendente rispetto alle direttive del partito”.

In marcia sulle vie ribelli alla razzia dei saperi. Intervista a Vandana Shiva

In marcia sulle vie ribelli alla razzia dei saperi. Intervista a Vandana Shiva

Un'intervista a Vandana Shiva, in occasione dell’uscita de Il bene comune della Terra. Dal miracolo economico indiano ai ‟suicidi dei semi”, analisi di un pianeta sempre più ostaggio delle grandi corporation.

Intervista a Kertész: «Questa democrazia così assurda»

Intervista a Kertész: «Questa democrazia così assurda»

Imre Kertész, premio Nobel per la Letteratura 2002, arriva al Festivaletteratura accompagnato da Magda, la donna che ha sposato in seconde nozze dopo essere rimasto vedovo. Bionda, abbondante, ridente, Magda Kertész racconta di essere un’organizzatrice professionale di eventi culturali e di aver dovuto mettere negli ultimi undici mesi questo mestiere al servizio della causa coniugale: sostenere il marito, uomo cresciuto sotto due totalitarismi, il nazismo e lo stalinismo, e vissuto nel culto del proprio anonimato come sola garanzia di libertà interiore, nella necessità di darsi d’ora in poi in pasto ai mass media, in quanto "scrittore d’improvviso rivelato a tutto il mondo". È, questa, la ancora sbalordita formula con cui Imre Kertész si definì a dicembre scorso ricevendo il premio dagli Accademici di Svezia: per quarant’anni, dal ’51, l’anno in cui lasciò il lavoro di giornalista, si era mantenuto nella sua oscurità di traduttore di Nietzsche, Wittgenstein, Canetti, Freud, Roth, Schnitzler. Lavoro oscuro ma svolto con gioia perché, racconta, "rendere in ungherese le frasi di Roth, che sono frecce puntate verso l’alto, è come riscriverne la musica". Disse assai di più, lì a Stoccolma, nella sua "Lettura": "Non è facile essere un’eccezione e pensare a quanti sono morti senza avere visto la misericordia". I morti, cioè, di Auschwitz e a Buchenwald, i due lager nei quali, di famiglia ebrea, spese i mesi tra il 1944 e il 1945. Con caustica ironia, Kertész riassume così la propria parabola: "Mentre ci trasportavano nei vagoni piombati non ci dicevano che il contratto prevedeva, alla fine, il premio Nobel. Ma la vita è assurda e quest’assurdo bisogna saperlo accettare: accettare che ti vogliano ammazzare e, poi, che ci sia gente che abbia voglia di ascoltare in che modo ti volevano ammazzare". Feltrinelli ha pubblica Fiasco, secondo capitolo della trilogia uscita in Ungheria tra il 1975 e il 1990, che si conclude con Kaddish per un bambino mai nato: tre romanzi lega ti da un personaggio comune, György Köves. E l’essere qui, col panama bianco in testa e scarpe comode da jogging ai piedi, al braccio della sua Magda, nonostante l’accoglienza soleggiata che gli fa Mantova sembra far parte, per Imre Kertész, di un nuovo, ostico, copione post-Nobel.